In un recente studio di management [1] la presenza di residuo trombotico venoso e la misurazione del D-dimero sono stati utilizzati per decidere quando sospendere la terapia anticoagulante dopo un primo evento di trombosi venosa, provocata o meno. La presenza di residuo trombotico, da sola, non è risultata associata ad un aumentato rischio di recidiva dopo la sospensione della terapia anticoagulante, mentre si conferma essere un fattore predisponente allo sviluppo di sindrome post trombotica.

IN BREVE…
Un recente studio, pubblicato su Thrombosis and Haemostasis , ha confermato che il riscontro di residuo trombotico venoso, misurato dopo 3-6 mesi da una trombosi venosa profonda (TVP), predispone all’insorgenza di sindrome post-trombotica, caratterizzata dalla persistenza, anche a distanza di anni dopo una trombosi venosa, di dolore, gonfiore ed ulcerazioni all’arto inferiore. L’utilizzo precoce, dopo una TVP, di calza elastica con adeguata compressione consente di ridurre lo sviluppo di questa complicanza. La ricerca ecografica del residuo venoso in tutti i pazienti con TVP prossimale (dal ginocchio in su) consente di individuare chi, per la persistenza di residuo trombotico, si gioverebbe di un mantenimento più prolungato (due anni) dell’elastocompressione. Lo studio non ha individuato differenze significative nell’incidenza di recidive trombotiche dopo la sospensione della terapia anticoagulante tra chi aveva il residuo e chi no.

In circa la metà dei pazienti con trombosi venosa profonda (TVP) si generano, sotto la spinta di una intensa flogosi vascolare e perivascolare, le condizioni per l’organizzazione della massa trombotica, che tende a residuare rendendosi visibile per mesi o anni dopo l’episodio acuto e si associa spesso ad incompetenza valvolare con reflusso.  Tale fenomeno (residuo trombotico venoso) si accerta con facilità con la sonda ecografica dimostrando in almeno un punto compreso tra la vena poplitea e l’iliaca una incompressibilità di almeno 4 mm in sezione trasversale a partire da 3 mesi dopo l’episodio acuto. È stato ben dimostrato sia da studi singoli che metanalitici [2] che il residuo trombotico, misurato a tre mesi di distanza da una TVP prossimale, aumenta di circa il 30% il rischio di recidiva tromboembolica post-sospensione della terapia. Tuttavia, finisce per essere in assoluto un criterio di scarsa affidabilità (quando disgiunto da altri più solidi criteri) per stabilire la durata ottimale della terapia anticoagulante.

Ben più importante sembra il ruolo del residuo trombotico per lo sviluppo di sindrome post-tromboflebitica (PTS). Un’indagine meta-analitica che ha analizzato le informazioni provenienti da una serie di studi sia prospettici che retrospettivi [3] ha confermato che il residuo trombotico, misurato a distanza di 6-12 settimane dall’episodio acuto, a parità di condizioni raddoppia il rischio di sviluppo di PTS, del tutto prescindendo dalla natura della TVP, nei confronti dei soggetti che ricanalizzano le vene più precocemente. Il fenomeno è più evidente nei soggetti che, congiuntamente al residuo trombotico, sviluppano incompetenza valvolare poplitea con reflusso, mentre il reflusso da solo sembra un giocare un peso inferiore.

Su queste premesse sta rinascendo l’interesse per la prematura applicazione di una adeguata elasto-compressione in tutti i pazienti con TVP prossimale e per il suo mantenimento per almeno due anni in tutti coloro che, prescindendo dalla severità delle manifestazioni cliniche, abbiano la dimostrazione ecografica di residuo trombotico venoso, da solo od associato con reflusso valvolare popliteo [4].

In questo filone si inseriscono i risultati di un recentissimo studio prospettico di coorte eseguito in Olanda [1]. La ricerca, condotta dal 2003 al 2018, ha coinvolto 825 soggetti con TVP prossimali spontanee o provocate da fattori rimovibili, i quali sono stati seguiti per un periodo oscillante da 2 a 5 anni. La maggior parte dei pazienti era in terapia con dicumarolici. In caso di ricanalizzazione venosa la terapia veniva interrotta rispettivamente dopo 3 o 6 mesi in soggetti con TVP provocata o idiopatica. In caso di residuo trombotico (incomprimibilità > 2 mm) la durata della terapia era raddoppiata. Un mese dopo la sospensione veniva misurato un D-dimero, ed in caso di positività (valore > 500 ng/ml) veniva proposta la ripresa della terapia. Nonostante quasi la metà dei pazienti, presentasse valori elevati di D-dimero al controllo, solo una esigua minoranza (3.4%) ha accettato di riprendere la terapia anticoagulante.

La maggior parte dei pazienti (76,5%) ha interrotto il trattamento anticoagulante. I tassi di incidenza di recidiva, PTS, eventi arteriosi e cancro erano rispettivamente di 4,4; 11,9; 1,7 e 1,8 per 100 anni-paziente. Il residuo trombotico è risultato indipendentemente associato a sindrome post trombotica (HR 1,66 [1,19-2,32]) ed eventi arteriosi (HR 2,07 [1,18-3,65]), ma non a recidiva o cancro. Il D-dimero elevato era associato a recidiva (HR 3,51 [2,24-5,48]).

Si può discutere se il residuo trombotico, per lo meno secondo i criteri impiegati per questa osservazione (incomprimibilità di almeno 2 mm anziché 4 come attualmente raccomandato dalla letteratura scientifica), sia un criterio utile a stabile il rischio di recidiva. Direi comunque di no, vista la frequenza con cui sono state documentate recidive tromboemboliche tra coloro in cui la terapia era stata interrotta per assenza di residuo (6.7 per 100 anni/paziente 95% CI 5-8,8 nelle TVP non provocate).

Dove invece sembra che non ci sia più spazio per discussione è la predittività del residuo trombotico ai fini del rischio di PTS, che sembra prescindere dalla natura della TVP e dalla durata della terapia anticoagulante. Figlio dell’intensa flogosi vascolare e perivascolare che caratterizza in molti individui la fase acuta della TVP, il residuo trombotico si associa spesso a danno valvolare e comunque crea le premesse per una ipertensione venosa persistente che, scaricandosi sulle vene avalvolate del circolo superficiale perimalleolare mediale, genera le ben note manifestazioni croniche di cui l’ulcera venosa (difficilmente trattabile) è la più temibile. Almeno questi pazienti non dovrebbero essere esentati da adeguata e prolungata elasto-compressione (se possibile alternata a cicli di compressione pneumatica intermittente, oggi resa possibile anche a domicilio da apparecchiature ad hoc relativamente poco costose), che compensando l’ipertensione venosa ha buone chances di impedire o rallentare lo sviluppo della PTS [4].

Pertanto, la ricerca ecografica del residuo venoso dovrebbe essere effettuata in tutti i pazienti con TVP prossimale con lo scopo primario di identificare i pazienti più esposti al rischio di PTS e con maggiori probabilità di beneficiare dell’elastocompressione.

Mentre non si evidenzia un aumento del rischio di neoplasie tra pazienti con residuo, è interessante il rilievo di un significativo aumento, a parità di condizioni, del rischio di eventi cardiovascolari arteriosi tra i soggetti con persistente residuo trombotico nei confronti di coloro in cui le vene si erano precocemente ricanalizzate. Questi risultati sono consistenti con quelli di uno studio del passato [5], e concorrono ad individuare nei soggetti con persistente residuo trombotico una popolazione in cui, al termine della terapia anticoagulante, si potrebbe ipotizzare l’instaurazione di una terapia antiaggregante piastrinica. Va da sé che in questi soggetti dovrebbe essere fortemente privilegiata la modificazione dello stile di vita, finalizzata ad un obiettivo che è spesso raggiungibile anche in assenza di farmaci.

Bibliografia

  1. Iding AFJ, Kremers BMM, Pallares Robles A, et al. Residual venous obstruction as an indicator of clinical outcomes following deep vein thrombosis: a management study. Thromb Haemost.2023;10.1055/a-2059-4737.
  2. Donadini MP, Ageno W, Antonucci E, et al. Prognostic significance of residual venous obstruction in patients with treated unprovoked deep vein thrombosis: a patient-level meta-analysis. Thromb Haemost. 2014;111(1):172-179. 
  3. Dronkers CEA, Mol GC, Maraziti G, et al. Predicting Post-Thrombotic Syndrome with Ultrasonographic Follow-Up after Deep Vein Thrombosis: A Systematic Review and Meta-Analysis. Thromb Haemost. 2018;118(8):1428-1438. 
  4. Prandoni P, Lensing AWA, Prins MH, et al. Elastic compression stockings for prevention of the post-thrombotic syndrome in patients with and without residual vein thrombosis and/or popliteal valve reflux. Haematologica. 2022;107(1):303-306.