Uno studio presentato al congresso della Società Internazionale di Trombosi ed Emostasi e pubblicato su Blood ha evidenziato un’incidenza della condizione del 66% in questa popolazione.

Il sanguinamento uterino anomalo (SUA) è una condizione comune, che colpisce circa il 10-30% delle donne in età fertile e ha un impatto significativo sulla qualità di vita, provocando limitazioni alle attività sociali e professionali. La prevalenza di sanguinamento mestruale anomalo in corso di terapia anticoagulante è più alta rispetto alla popolazione generale; tuttavia, non ci sono dati di elevata qualità sulla reale incidenza e sull’impatto di tale condizione in pazienti anticoagulate. Inoltre, alcuni dati riportano un tasso maggiore di SUA in corso di terapia anticoagulante orale con alcuni farmaci diretti (DOAC) rispetto agli antagonisti della vitamina K, tuttavia non ci sono evidenze dirette che abbiano comparato i vari DOAC.

In uno studio europeo, multicentrico, recentemente presentato al congresso della Società Internazionale di Trombosi ed Emostasi e pubblicato su Blood, una coorte di pazienti in età fertile con un episodio di TEV acuto, che avevano quindi iniziato un trattamento anticoagulante orale, sono state arruolate subito dopo la diagnosi di TEV e sono state seguite prospetticamente per 6 mesi, per valutare l’incidenza di SUA e il suo impatto sulla qualità di vita.

Questo studio, per la prima volta, ha rilevato il verificarsi di SUA sia secondo quanto riportato dalle pazienti, indipendentemente dalla regolarità, frequenza o durata del ciclo mestruale, sia attraverso l’utilizzo di uno strumento validato, chiamato Pictorial Blood Assessment Chart (PBAC), che risulta indicativo di SUA se il punteggio risulta superiore a 100 oppure a 150, secondo i due valori maggiormente utilizzati in letteratura.

I risultati dello studio hanno evidenziato un’incidenza di SUA del 66% considerando qualsiasi definizione di SUA, anche superiore rispetto a quanto stimato inizialmente per il calcolo del campione di popolazione. Tale incidenza, in particolare, si è attestata al 57% considerando il punteggio PBAC >100, al 45% considerando il limite di 150 e al 48% secondo quanto auto-riportato dalle pazienti. Anche includendo solo le pazienti che non avevano riportato un sanguinamento uterino anomalo precedentemente alla diagnosi TEV, l’incidenza di SUA dopo l’inizio della terapia anticoagulante è risultata complessivamente pari al 60%.
È da segnalare, inoltre, come la quantità di perdite ematiche si riduca nei cicli mestruali successivi al primo occorso dopo l’inizio della terapia anticoagulante, con punteggi PBAC che si stabilizzano dal 2° al 6° ciclo mestruale.

Sebbene il campione non sia sufficientemente numeroso per consentire delle analisi affidabili basate sui sottogruppi di trattamento anticoagulante, si è osservato come le pazienti trattate con inibitore del fattore IIa (dabigatran) non abbiano riportato un aumento delle perdite ematiche dopo l’inizio della terapia rispetto a quanto riportato precedentemente alla diagnosi di TEV, diversamente dalle pazienti trattate con inibitori del fattore Xa (rivaroxaban, apixaban, edoxaban) oppure con eparina a basso peso molecolare embricata a warfarin.

Infine, una valutazione della qualità vita, misurata tramite un questionario validato denominato Menstrual Bleeding Questionnaire (MBQ), ha evidenziato come questa si fosse ridotta al termine del follow-up dello studio (6 mesi, o prima in caso di sospensione della terapia anticoagulante anticipata), in particolare nelle donne con SUA.

In conclusione, il problema del SUA è di notevole importanza e prevalenza tra le donne in età fertile che iniziano un trattamento anticoagulante orale a causa di un evento tromboembolico venoso acuto, con un impatto significativo sulla qualità di vita. Pertanto, le strategie più adeguate per prevenire e trattare questo fenomeno (per esempio la scelta dell’anticoagulante più adatto, la prosecuzione della terapia estroprogestinica, la diagnosi e il trattamento precoce di patologie ginecologiche sottostanti) necessitano di essere valutate in studi di intervento dedicati.


Bibliografia

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