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L’American College of Chest Physicians ha recentemente rilasciato le nuove raccomandazioni per il trattamento del tromboembolismo venoso. Le maggiori novità si hanno nell’ambito della trombosi venosa profonda dell’arto inferiore o nell’embolia polmonare.

Sono state recentemente pubblicate le nuove linee guida dell’American College of Chest Physicians (CHEST) sul trattamento del tromboembolismo venoso (TEV)1. Si tratta del secondo aggiornamento della nona edizione di queste linee guida di pratica clinica (anche note come “AT9”) che erano state inizialmente pubblicate nel 20122 e aggiornate per la prima volta nel 20163.

Nell’ultimo aggiornamento gli autori forniscono 29 raccomandazioni, di cui 13 considerate forti. Le maggiori novità, rispetto alle edizioni precedenti, sono relative alla terapia anticoagulante nel TEV, inteso come trombosi venosa profonda (TVP) dell’arto inferiore o nell’embolia polmonare (EP).

Per quanto riguarda le fasi del trattamento del TEV è stata introdotta la seguente nomenclatura: a) fase iniziale (i primi 5-21 giorni, in cui viene somministrata terapia parenterale o anticoagulanti orali ad alte dosi); b) fase di trattamento (i primi 3 mesi, in cui vengono somministrate dosi terapeutiche standard come terapia dell’episodio acuto); c) fase estesa (dopo i primi 3 mesi, in cui possono essere somministrati anticoagulanti a dose piena o ridotta in prevenzione secondaria).

Raccomandazioni relative alla scelta dell’anticoagulante nelle fasi iniziale e trattamento (raccomandazioni n.15-17):

  • Nei pazienti con TEV acuto, per la fase di trattamento sono raccomandati i DOAC rispetto agli AVK
    Si tratta di una raccomandazione simile a quella pubblicata nel primo aggiornamento (dove si diceva che i DOAC erano suggeriti rispetto agli AVK), con la differenza che a seguito di ulteriori evidenze è adesso diventata una raccomandazione forte e i DOAC sono raccomandati come prima scelta, in assenza di controindicazioni. Questa raccomandazione si basa sul fatto che i DOAC hanno un’efficacia simile agli AVK nel ridurre il rischio di TEV con un minore rischio di sanguinamenti intracranici.
  • Nei pazienti con TEV acuto paraneoplastico, è raccomandato un anti-Xa (apixaban, edoxaban, rivaroxaban) rispetto a EBPM per la fase iniziale e la fase di trattamento.
    Si tratta di una raccomandazione forte e sostanzialmente nuova rispetto alle edizioni precedenti, in cui veniva suggerita l’EBPM. L’EBPM è stata considerata per anni la prima scelta nel TEV paraneoplastico per la sua maggiore efficacia rispetto agli AVK, per le difficoltà con gli AVK nel mantenere l’INR in range terapeutico (soprattutto se concomitanti chemioterapie), per la via di somministrazione parenterale più affidabile in pazienti con vomito, e per la breve durata di azione che rendeva più semplice la sua sospensione in caso di eventuali procedure invasive o comparsa di piastrinopenia. Adesso invece, in seguito a nuove evidenze, i DOAC sono diventati la prima scelta anche per il TEV paraneoplastico. Tuttavia, poiché edoxaban e rivaroxaban sembrano essere associati a un aumentato rischio di sanguinamenti maggiori gastrointestinali in pazienti con neoplasia gastrointestinale luminale, apixaban o EBPM potrebbero essere preferiti in questo tipo specifico di neoplasie.
  • Nei pazienti con sindrome da anticorpi antifosfolipidi per la fase di trattamento sono suggeriti gli AVK (target INR 2.5) rispetto ai DOAC.
    Si tratta di un’altra raccomandazione nuova rispetto alle edizioni precedenti, in cui la sindrome da anticorpi antifosfolipidi non era stata valutata individualmente. In particolare, la tripla positività rappresenta una controindicazione ai DOAC. I pazienti con sindrome da anticorpi antifosfolipidi sono in genere candidati a una terapia anticoagulante indefinita per l’elevato rischio di recidive trombotiche. Nel caso in cui si verifichi una recidiva trombotica in corso di terapia con AVK, escludendo la transizione ai DOAC, le possibili opzioni terapeutiche sono aumento del range INR, passaggio a terapia eparinica o fondaparinux, o aggiunta di antiaggregante piastrinico.

 

Raccomandazioni relative alla durata della terapia anticoagulante (raccomandazioni n.21-25):

  • Nei pazienti con TEV acuto è raccomandata una fase di trattamento minimo di 3 mesi, in assenza di controindicazioni
    Al completamento dei 3 mesi, tutti i pazienti dovrebbero essere valutati per eventuale fase estesa. Questa decisione dipende dal bilancio tra il rischio stimato di recidive trombotiche in assenza di trattamento vs. il rischio emorragico in corso di terapia anticoagulante estesa, tenendo in considerazione anche la preferenza del paziente.

Se il TEV è:

  • dovuto a un fattore di rischio maggiore transitorio, si raccomanda di non proseguire con l’anticoagulazione estesa;
    Esempi di fattori di rischio maggiori transitori includono chirurgia con anestesia generale per >30 minuti, ospedalizzazione con allettamento per patologia acuta per almeno 3 giorni, parto cesareo, etc.
  • dovuto ad un fattore di rischio minore transitorio, si suggerisce di non proseguire con l’anticoagulazione estesa;
    Esempi di fattori di rischio minori transitori includono chirurgia con anestesia generale per
  • idiopatico o provocato da fattori di rischio persistenti, si raccomanda di offrire l’anticoagulazione estesa con un DOAC;
  • idiopatico o provocato da fattori di rischio persistenti in pazienti che non possono ricevere un DOAC, si suggerisce di offrire l’anticoagulazione estesa con AVK.

La terapia anticoagulante estesa non ha una durata predefinita. I pazienti che ricevono l’anticoagulazione estesa dovrebbero essere rivalutati almeno una volta all’anno, o più frequentemente se vi sono cambiamenti significativi dello stato di salute.

I farmaci anticoagulanti utilizzati durante la terapia della fase estesa possono essere gli stessi della fase di trattamento, tuttavia è possibile cambiare farmaci in caso di modifiche nelle condizioni o nelle preferenze del paziente. In queste raccomandazioni viene data preferenza ai DOAC rispetto agli AVK in considerazione del rischio inferiore di sanguinamento, ma l’uso di AVK è comunque accettabile per la prevenzione secondaria del TEV.

Queste raccomandazioni sono simili alle precedenti edizioni con la differenza che sono state semplificate, non viene fatta distinzione tra TVP ed EP, ed è stata inclusa una preferenza per i DOAC, mentre l’edizione precedente consigliava semplicemente di proseguire con la stessa terapia dei primi 3 mesi, non essendo strettamente necessario cambiare.

Raccomandazioni relative alla fase estesa (raccomandazioni n.26-28):

  • Nel corso della terapia estesa la dose ridotta di apixaban (2.5 mg x 2/die) o rivaroxaban (10 mg/die) è suggerita rispetto alla dose piena di apixaban o rivaroxaban.
    Questa è una raccomandazione nuova, poiché nelle edizioni precedenti non si parlava di riduzione del dosaggio dei DOAC. Questo approccio è stato valutato recentemente in diversi studi ed ha mostrato efficacia nel prevenire le recidive con un ridotto rischio di sanguinamento. In questo modo il bilancio rischio:beneficio diventa più favorevole per la terapia estesa.
  • Nel corso della terapia estesa le dosi ridotte dei DOAC sono raccomandate rispetto all’aspirina o nessun trattamento, e la dose ridotta di rivaroxaban è suggerita rispetto all’aspirina.
    Si tratta di un’altra nuova raccomandazione.
  • Nei pazienti con TEV idiopatico (TVP prossimale o EP) in cui si è deciso di sospendere l’anticoagulante e che non hanno controindicazioni all’aspirina, l’aspirina è suggerita rispetto a nessun trattamento per prevenire le recidive trombotiche.
    Raccomandazione immodificata rispetto al primo aggiornamento di queste linee guida. Il significato di questa raccomandazione è che, poiché l’aspirina è meno efficace degli anticoagulanti in prevenzione secondaria ed ha un rischio di sanguinamento simile ai DOAC, non può essere considerata una alternativa ragionevole alla terapia anticoagulante nei pazienti candidati a terapia estesa. Infatti, mentre gli anticoagulanti sono associati con una riduzione del rischio di recidive di TEV >80%, la riduzione del rischio con aspirina è circa un terzo. Tuttavia, se è stato deciso di sospendere l’anticoagulante e non vi è un elevato rischio emorragico, l’aspirina è meglio di niente, perché conferisce una certa protezione contro le recidive di TEV e gli eventi arteriosi.

 


Bibliografia

  1. Stevens SM, Woller SC, Baumann Kreuziger L, Bounameaux H, Doerschug K, Geersing GJ, et al. Antithrombotic Therapy for VTE Disease: Second Update of the CHEST Guideline and Expert Panel Report. Chest. 2021 Jul 31:S0012-3692(21)01506-3. doi: 10.1016/j.chest.2021.07.055. Epub ahead of print. PMID: 34352278.
  2. Kearon C, Akl EA, Comerota AJ, Prandoni P, Bounameaux H, Goldhaber SZ, et al. Antithrombotic therapy for VTE disease: Antithrombotic Therapy and Prevention of Thrombosis, 9th ed: American College of Chest Physicians Evidence-Based Clinical Practice Guidelines. Chest. 2012;141(2 Suppl):e419S-94S.
  3. Kearon C, Akl EA, Ornelas J, Blaivas A, Jimenez D, Bounameaux H, et al. Antithrombotic Therapy for VTE Disease: CHEST Guideline and Expert Panel Report. Chest. 2016;149(2):315-52.