Un recente lavoro ha confermato quanto suggerito da studi precedenti: esiste un’interferenza tra Pcr e APTT. Tuttavia, al momento questa sembrerebbe significativa solo qualora si usi un reagente a basso contenuto di fosfolipidi e solo in quei pazienti che hanno livelli molto elevati di Pcr.
La proteina C reattiva (PCr) è una proteina della fase acuta, che nel corso degli anni, oltre al suo consueto ruolo di marcatore biochimico di infiammazione, è stata considerata anche come marcatore biochimico di cardiopatia ischemica. Da qualche tempo appaiono in letteratura dei rapporti che legano gli aumenti delle PCr ad allungamenti del tempo di tromboplastina parziale attivato (APTT), test di base della coagulazione, usato per smascherare carenze congenite o acquisite della coagulazione, presenza di inibitori specifici contro i fattori della coagulazione, o inibitori diretti contro i complessi fra fosfolipidi a carica negativa e proteine (anticoagulante lupico).
Uno dei lavori più recenti ha eseguito degli esperimenti su plasmi privi di carenze specifiche dei singoli fattori e presenza di inibitori, ma contenenti concentrazioni crescenti di PCr. La misura dell’APTT con due reagenti commerciali, ha rivelato come vi sia una correlazione positiva fra la concentrazione della PCr e l’APTT, confermando precedenti osservazioni in vitro, che suggerivano una interferenza della PCr sull’APTT. Tale interferenza è reagente-dipendente, essendo evidente solo con uno dei due reagenti APTT studiati. Esperimenti in vitro hanno permesso di stabilire che l’interferenza è da attribuire al legame della PCr con i fosfolipidi a carica negativa, che costituiscono la base in vivo e in vitro per il corretto assemblaggio dei fattori della coagulazione sulle superfici cellulari. A seguito di questo assemblaggio i fattori della coagulazione possono essere attivati e generare trombina con conseguente conversione del fibrinogeno in fibrina. La PCr determinerebbe una parziale neutralizzazione dei fosfolipidi contenuti nell’APTT, provocandone l’allungamento.
A sostegno di questa ipotesi, ci sarebbe il riscontro che fra i due reagenti APTT studiati, quello per il quale è stata riscontrata l’interferenza è quello che aveva il più basso contenuto di fosfolipidi. Gli autori sottolineano come l’interferenza della PCr sull’APTT, oltre che dipendere dal contenuto dei fosfolipidi del reagente usato, dipenda anche dalle caratteristiche (ancora da chiarire) del paziente. Seppure con questi limiti, dall’analisi della correlazione fra PCr e APTT, si potrebbe concludere come livelli di PCr capaci di allungare l’APTT oltre i limiti della norma, nel reagente per il quale è stata rilevata l’interferenza (>32 secondi), è pari o superiore a 50 mg/L, valori che si riscontrano in un ridotto numero di pazienti, essendo i limiti superiori della norma della PCr attorno a 10 mg/L.
Il fenomeno non sembrerebbe quindi molto rilevante e graverebbe sull’interpretazione dell’APTT solo su quei pazienti che hanno livelli molto elevati di PCr e qualora si usi un reagente a basso contenuto di fosfolipidi.
Bibliografia
Erdem-Eraslan L, et al. Inter-individual variability in phospholipid-dependent interference of C-reactive protein on activated partial thromboplastin time.British J Haematol 2018; 183: 681-83.