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A due anni dalla pubblicazione dello studio italiano, un lavoro canadese ha cercato di valutarne le conseguenze per i pazienti. Emerge la necessità di portare avanti la ricerca in questo campo.

Due anni fa venivano pubblicati da Vittorio Pengo i risultati dello studio TRAPS (Trial on Rivaroxaban in AntiphosPhospholipid Syndrome) 1. Si tratta di uno studio clinico prospettico, randomizzato, che ha confrontato rivaroxaban 20 mg/die con il warfarin per la prevenzione di eventi avversi tromboembolici, sanguinamento maggiore e morte vascolare in pazienti con APS ad alto rischio (con triplice positività per Lupus Anticoagulant, anticorpi anti-cardiolipina e anti-β2-glicoproteina I dello stesso isotipo). Come è noto, lo studio è stato interrotto dopo l’arruolamento di soli 120 pazienti, a causa di un eccesso di eventi avversi tra i pazienti nel braccio di rivaroxaban. La pubblicazione di questi dati ha imposto una battuta d’arresto all’utilizzo degli anticoagulanti orali diretti in pazienti con APS.

A seguito di questa pubblicazione, da più parti è stata sollevata la questione su quali comportamenti adottare alla luce di questi risultati nella pratica clinica nel momento di intraprendere un trattamento anticoagulante orale per tromboembolismo venoso. Alla pubblicazione ha fatto seguito anche una nota dell’Agenzia Italia del Farmaco (AIFA) che sottolinea la necessità di escludere questi pazienti dal trattamento con anticoagulanti orali diretti. Tuttavia, al momento, mancano linee guida chiare che indichino se la ricerca di laboratorio volta ad identificare una APS debba essere condotta già nella fase acuta del tromboembolismo venoso. Si pongono infatti a questo proposito interrogativi di non facile soluzione. Si tratta di una diagnostica non immediata e, come è noto, la diagnosi di APS richiede per definizione la conferma attraverso test ripetuti dopo 12 settimane.

Un recente studio canadese comparso su Journal of Thrombosis and Hemostasis 2 ha valutato quale può essere l’impatto nella pratica clinica dei risultati dello studio TRAPS. Gli autori hanno analizzato in uno studio retrospettivo il database del Centro per la gestione della TAO di Ottawa per identificare tutti i pazienti di età compresa tra 18 e 50 anni che avevano avuto un episodio di TEV spontaneo dal 2002 al 2011. Tra questi, gli autori hanno rilevato che ben il 9% dei pazienti presentavano i criteri diagnostici per APS, dimostrando come questa patologia abbia una frequenza non certo trascurabile tra pazienti giovani con tromboembolismo venoso spontaneo. Questi dati sottolineano come i risultati dello studio TRAPS abbiano un impatto rilevante nella pratica clinica.
Lo studio ha il pregio di mettere in evidenza in maniera chiara la necessità di portare avanti la ricerca in questo campo, per fornire ai pazienti e ai medici linee guida adeguate ad affrontare questa non rara evenienza e, se necessario, a modificare i percorsi diagnostici e terapeutici che oggi vengono adottati per la gestione dei pazienti con tromboembolismo venoso acuto.


Bibliografia

  • Pengo V, Denas G, Zoppellaro G, Jose SP, Hoxha A, Ruffatti A, Andreoli L, Tincani A, Cenci C, Prisco D, Fierro T, Gresele P, Cafolla A, De Micheli V, Ghirarduzzi A, Tosetto A, Falanga A, Martinelli I, Testa S, Barcellona D, Gerosa M, Banzato A. Rivaroxaban vs warfarin in high-risk patients with antiphospholipid syndrome. Blood. 2018;132(13):1365-1371.
  • Miranda S, Park J, Le Gal G, Piran S, Kherani S, Rodger MA, Delluc A. Prevalence of Confirmed Antiphospholipid Syndrome in 18-50 Years Unselected Patients With First Unprovoked Venous Thromboembolism. J Thromb Haemost. 2020,18(4):926-930