Un nuovo studio ipotizza il meccanismo alla base dell’innalzamento dei valori di D-dimero comunemente riscontrato nel paziente affetto da COVID-19.

Elevati livelli di D-dimero sono di comune riscontro nei pazienti affetti da COVID-19. Assai meno nota è la genesi di questi elevati valori. All’inizio della pandemia, a seguito delle descrizioni dei primi pazienti a cura degli autori di Wuhan, l’aumento massivo del D-dimero era stato ipoteticamente attribuito alla coagulazione intravascolare disseminata (CID), causata dalla massiccia attivazione della coagulazione, con generazione di trombina e con conseguente trasformazione del fibrinogeno in fibrina stabilizzata. A questa seguivano l’attivazione dei processi fibrinolitici e l’aumento dei prodotti di degradazione della fibrina stabilizzata (D-dimero).

Tuttavia, si capì assai presto che l’ipotesi della CID mal si combinava con alcune osservazioni di frequente riscontro nella coagulopatia da COVID-19. In quest’ultima mancavano, difatti, le tipiche carenze dei fattori pro-coagulanti (fibrinogeno) e anticoagulanti (antitrombina, proteina C), che si riscontrano a seguito del “consumo” e che sono, insieme alla piastrinopenia, tipiche della CID. In effetti, l’unica caratteristica biochimica patognomonica che rende simile la CID alla coagulopatia da COVID-19, è l’aumento del D-dimero.

Un’ipotesi alternativa interessante sulla genesi del D-dimero nell’infezione da SARS-CoV-2 è stata di recente formulata1. Secondo tale ipotesi, a seguito dell’infezione da SARS-CoV-2, si genera un potente stato infiammatorio a livello del circolo sistemico, ma soprattutto a livello del circolo polmonare, secondario alla liberazione di citochine pro-infiammatorie. Dimostrazione di questo stato infiammatorio è l’invariabile aumento delle proteine della fase acuta (fibrinogeno, proteina C reattiva, ferritina, ecc.). L’infezione polmonare acuta porta anche a una massiccia deposizione di fibrina intra-alveolare, che viene controllata dalle cellule epiteliali di quel distretto, attraverso la produzione di urochinasi. Quest’ultima regola la formazione di plasmina responsabile della generazione di D-dimero, che si ripartisce nel circolo sistemico, dove persiste per un tempo limitato, ma sufficiente per essere rilevato.

Un altro marcatore di danno polmonare è la presenza di macrofagi, che producono attività fibrinolitica locale direttamente o indirettamente. La massiva attività fibrinolitica locale, in combinazione con gli aumenti delle proteine della fase acuta (proteina C reattiva, ferritina e fibrinogeno) e di altri marcatori di danno endoteliale (fattore di von Willebrand), che sono di frequente riscontro nell’infezione da SARS-CoV-2, portano a una situazione complessa, di cui il D-dimero è un marcatore facilmente misurabile. Il suo significato è facilmente riconducibile ai processi patofisiologici del COVID-19 ma il suo ruolo nella diagnosi delle complicanze tromboemboliche e nella prognosi della malattia deve ancora essere definito.


Bibliografia

  1. Hunt BJ and Levi M. Re The source of elevated plasma D-dimer levels in COVID-19 infection. Br J Haematol 2020, 190: e133-e134. https://doi.org/10.1111/bjh.16907