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Due studi hanno indagato se la presenza di aree emorragiche nel cervello possano aumentare il rischio di alcuni eventi e se i pazienti debbano continuare o meno il trattamento antitrombotico.

Numerosi studi recenti hanno segnalato che la presenza di piccole aree emorragiche del parenchima cerebrale (microbleeds) evidenziabili dalle neuroimmagini, sono associate a un aumentato rischio di emorragia cerebrale1. Tale rischio è progressivamente crescente con il numero di microbleeds rilevati, e alcuni studi hanno suggerito che anche la loro sede possa essere correlata con un diverso rischio. Questi dati hanno sollevato l’ipotesi che la decisione circa l’uso di trattamenti antitrombotici debba tenere conto anche della presenza e del numero dei microbleeds, in particolare nel paziente che ha già avuto un episodio di emorragia intracranica.

Due recenti articoli comparsi sul numero di agosto di Lancet Neurology forniscono tuttavia informazioni molto rilevanti su questa problematica, portando dati in controtendenza con quanto fino a oggi ipotizzato.

Il primo studio2 è un’ampia metanalisi degli studi osservazionali pubblicati su pazienti sottoposti a RMN per la ricerca di microbleeds come marcatore del rischio di emorragia cerebrale, che abbiano avuto uno stroke ischemico o un’ischemia cerebrale transitoria (TIA). Sono stati analizzati 38 studi per un totale di oltre 20.000 pazienti, seguiti per un tempo complessivo di oltre 35.000 anni-paziente. Dall’analisi si conferma che la presenza di microbleeds si associa a un aumento del rischio di emorragia cerebrale (ICH) con un HR 2.45 (95% CI 1.82-3.29). Tuttavia la presenza di microbleeds si associa anche con un aumento del rischio di stroke ischemico con un HR 1.23 (95% CI 1.08-1.40). Allo stesso modo viene confermato che tale rischio aumenta in relazione al numero di microbleeds rilevate e che questo aumento è maggiore per ICH che per stroke ischemico (≥5 microbleeds HR 4.55 per ICH e HR 1.47 per stroke ischemico; ≥20 microbleeds HR 8.61 per ICH e HR 1.86 per stroke ischemico). Non sono invece state rilevate differenze nel rischio in relazione alla sede dei microbleeds. Nonostante la conferma di questi dati già noti da tempo, dallo studio emerge che il tasso di stroke ischemici cresce in relazione alla presenza di microbleeds molto di più di quanto non accada per ICH. Infatti in pazienti con ≥10 microbleeds si registrano 64 stroke ischemici per 1000 anni-paziente, a fronte di 27 ICH per 1000 anni-paziente. Gli autori concludono che nel paziente con pregresso stroke ischemico o TIA la presenza di microbleeds si associa ad un aumentato rischio di ICH ma che il rischio assoluto di stroke ischemico è più alto di quello di ICH, indipendentemente dal numero e dalla sede dei microbleeds. Questi rilievi pertanto suggeriscono che la presenza di microbleeds è un marcatore di rischio per ICH, ma il rischio principale per il paziente resta quello dello stroke ischemico.

Questi dati non devono apparire inattesi, è infatti noto da tempo che il rischio di ICH e quello di stroke ischemico sono strettamente connessi. Il rilievo di microbleeds deve piuttosto essere interpretato come un marker di danno dei piccoli vasi cerebrali. La presenza di piccoli stravasi ematici potrebbe essere il risultato di un danno delle arteriole o dei capillari, tuttavia recenti segnalazioni riportano come si possa trattare anche di trasformazioni emorragiche di piccoli ictus ischemici. Pertanto l’apparente contraddizione che sembra emergere ad una prima lettura di questi dati, si ricompone nella definizione di un quadro clinico complesso alla cui base sembra esserci una patologia dei piccoli vasi cerebrali che sottende entrambe le manifestazioni cliniche: l’emorragia cerebrale e lo stroke ischemico.

Alla luce di questi dati tuttavia diventa sempre più importante definire il beneficio clinico netto del trattamento antitrombotico in questi pazienti. In sintesi: è necessario tenere conto della presenza di microbleeds e, in particolare, del loro numero prima di iniziare un trattamento antitrombotico che potrebbe esporre il paziente ad un inaccettabile rischio di ICH?

Su questa complessa questione clinica fino ad oggi senza una risposta, ci viene in aiuto lo studio RESTART, apparso sullo stesso numero di Lancet Neurology. Lo studio REstart or STop Antithrombotics Randomized Trial (RESTART) ha arruolato 507 pazienti sopravvissuti ad una emorragia cerebrale avvenuta mentre i pazienti assumevano trattamenti antitrombotici. I pazienti sono stati randomizzati in due gruppi: uno che riprendeva la profilassi antitrombotica con antiaggreganti piastrinici e l’altro che non riprendeva trattamento antitrombotico. Il follow-up è stato di 5 anni, l’end-point primario era la recidiva di ICH e l’end-point secondario lo stroke ischemico. I risultati dello studio non hanno mostrato differenze significative di recidiva di ICH tra i due gruppi, mentre si rilevava una riduzione per quanto non statisticamente significativa, sia della recidiva di ICH che di ictus ischemico nel gruppo di pazienti che era in trattamento antiaggregante. Lo studio ha inoltre previsto un sottogruppo di 254 pazienti che ha effettuato una TAC o Risonanza Magnetica dell’encefalo per la ricerca di microbleeds prima della randomizzazione. Anche in questo gruppo l’uso di antipiastrinici non si è associato a un aumento del rischio di recidiva emorragica. Come atteso, il numero di microbleeds è risultato associato a un aumento del rischio di recidiva emorragica (HR 3.66; 95% CI 1.34-9.79) ma anche di ictus ischemico (HR 1.99; 95% CI 1.20-3.31). Tuttavia non c’è stato un rischio di recidiva di ICH più elevato tra i soggetti con microbleeds in trattamento antiaggregante. Lo studio RESTART è il primo trial randomizzato che affronta il problema dell’uso del trattamento antiaggregante nel paziente con pregressa ICH, essendo disponibili fino a oggi solo dati osservazionali.
Va rilevato che lo studio non ha raggiunto una numerosità di pazienti tale da avere un adeguato potere statistico, restano pertanto dubbi circa la precisione dei risultati ottenuti. Lo studio fornisce tuttavia al clinico indicazioni rilevanti al fine di attuare con maggiore sicurezza la profilassi antitrombotica in questi pazienti.

Alla luce di questi dati si deve ritenere che, anche in assenza di evidenze più solide che potranno essere fornite da nuovi studi appositamente disegnati, la presenza di microbleeds di per sé non costituisca un elemento sufficiente a omettere un’adeguata profilassi antitrombotica quando questa sia indicata.


Bibliografia

  1. Qui J, Ye H, Wang J, Yan J, Wang J, Wang Y. Antiplatelet therapy, cerebral microbleeds, and intracerebral hemorrhage. Stroke 2018;49:1751-54.
  2. Wilson D et al. Cerebral microbleeds and stroke risk after ischemic stroke or transient ischemic attack: a pooled analysis of individual patients data from cohort studies. Lancet Neurol 2019;18:653-65.
  3. Salman R et al. Effects of antiplatelet therapy on stroke risk by brain imagin features of intracerebral hemorrhage and cerebral small vessel diseases: subgroup analysis of the RESTART randomized, open-label trial. Lancet Neurol 2019; 18:643-52.