I dati di un recente registro europeo hanno dimostrato che oltre la metà dei pazienti affetti da fibrillazione atriale ha un’insufficienza renale cronica (IRC) lieve o moderata. Questo aspetto è molto importante poiché incide sulla prognosi dei pazienti in quanto l’IRC è associata a una qualità inferiore della terapia anticoagulante con antagonisti della vitamina K (AVK), e aumenta il rischio di complicanze sia ischemiche che emorragiche.

Non solo: studi precedenti hanno dimostrato che i pazienti con FA in trattamento con AVK hanno un rischio significativo di declino della funzione renale nel tempo, che si manifesta con un calo mediano annuo della eGFR di -2,0 ml/min/1,73 m2.
Viceversa, alcune sotto-analisi dei trial registrativi degli anticoagulanti orali diretti (DOAC) hanno suggerito come questi farmaci abbiano una sorta di effetto nefro-protettivo.

Allo scopo di verificare se questi risultati possano essere estesi ai pazienti del mondo reale, un gruppo di ricercatori italiani ha indetto uno studio di coorte, prospettico, multicentrico, coinvolgente 1667 pazienti affetti da FA non valvolare e in trattamento con AVK (n=743) o DOAC (dabigatran, rivaroxaban, apixaban, n=924), nei quali è stata analizzata la variazione della eGFR (con la formula CKD-EPI) al basale e durante il follow up1. Come endpoint secondario, i ricercatori hanno analizzato il raggiungimento di una eGFR < 50 mL/min/1,73 m2 e il passaggio a classi di IRC peggiori secondo la classificazione KDIGO 2012.

Dai risultati emerge come i pazienti in terapia con DOAC erano significativamente più anziani ed avevano una funzionalità renale peggiore al basale rispetto ai pazienti che assumevano AVK. Questi ultimi, tuttavia, hanno mostrato un declino della funzionalità renale eGFR di −2,11 mL/min/1.73 m2, significativamente maggiore se confrontato con i pazienti in trattamento con dabigatran, rivaroxaban ed apixaban (riduzione della eGFR di −0,27,−1,21 e −1,32, rispettivamente).
Inoltre, la transizione verso una eGFR < 50 mL/min/1,73 m2 era significativamente inferiore nei pazienti trattati con dabigatran e apixaban e, in generale, un tasso più basso di peggioramento della IRC (passaggio a classe di eGFR inferiore) è stato riscontrato in tutti i pazienti in trattamento DOAC rispetto agli AVK. Non sono state evidenziate differenze di outcome tra dosi piene e ridotte dei DOAC ed è interessante notare come l’effetto nefro-protettivo dei DOAC sia stato perso nei pazienti con diabete mellito.

I risultati dello studio offrono spazio a diverse riflessioni di carattere pratico. Innanzitutto, viene evidenziata l’importanza del monitoraggio serrato della funzionalità renale nei pazienti in trattamento anticoagulante, sia con AVK che con DOAC: infatti, una percentuale significativa di pazienti passa a una eGFR più bassa durante la terapia e questo, oltre a comportare un aumentato rischio embolico ed emorragico, implica, in alcuni casi, un aggiustamento della dose del DOAC, o addirittura una sua sospensione, secondo le diverse indicazioni fornite dalla scheda tecnica per ogni farmaco.

Inoltre, confermando su pazienti del mondo reale l’effetto “nefro-protettivo” dei DOAC, viene ribadito come questi ultimi dovrebbero essere sempre preferiti rispetto agli AVK nella scelta dell’anticoagulante, anche nei pazienti che consideriamo più fragili, come quelli con IRC, che spesso invece, proprio per questo aspetto, vengono esclusi dalla terapia con DOAC nel timore di sovradosaggi e conseguenti complicanze emorragiche.


Bibliografia

1. Pastori D, Ettorre E, Lip GYH, et al. Association of different oral anticoagulants use with renal function worsening in patients with atrial fibrillation: A multicentre cohort study. Br J Clin Pharmacol. 2020;1–9.