Il tromboembolismo venoso (TEV) include due condizioni cliniche collegate tra di loro che possono essere sintomatiche all’atto della diagnosi oppure svilupparsi come una manifestazione isolata della malattia: la trombosi venosa profonda (TVP) e l’embolia polmonare (EP).
La gravidanza ed il periodo postpartum sono associate ad un rischio di TEV aumentato da 4 a 10 volte rispetto al rischio delle donne in età fertile che è approssimativamente da 1 a 5 su 10.000 donne all’anno. Il TEV in gravidanza rappresenta la causa principale di patologie e mortalità nei paesi sviluppati, essendo responsabile del 20-30% di tutte le morti nella popolazione fertile. Nonostante le difficoltà di gestione del TEV in gravidanza, molte di queste morti si possono prevenire. Come per la popolazione non gravida, il medico dovrebbe focalizzarsi sia sulla prevenzione del TEV nelle pazienti a rischio, sia sulla diagnosi che sulla terapia del TEV.
Diagnosi
La diagnosi di TEV nella popolazione non gravida prevede una combinazione di strategie diverse che includono probabilità cliniche stimate dalla storia clinica del paziente, esami ematici quali il test del D-Dimero ed esami strumentali. Una diagnosi accurata del TEV sintomatico acuto durante la gravidanza è d’obbligo, non soltanto per la mortalità e il rischio di sanguinamento legati al trattamento anticoagulante, ma anche per la gestione delle gravidanze successive e per l’utilizzo futuro di terapie ormonali. Tuttavia, tutti gli studi effettuati sulle strategie diagnostiche di TEV hanno escluso le donne incinte e l’estrapolazione degli algoritmi di immagini diagnostiche per il TEV nelle pazienti non gravide non è soddisfacente quando applicata in gravidanza.
Prima di tutto, segni e sintomi del TEV (edema degli arti inferiori, tachicardia, tachipnea e dispnea) nelle donne incinte possono essere aspecifici e considerati normali per i cambiamenti fisiologici cardiovascolari e metabolici tipici dello stato gravidico. Inoltre il test del D-Dimero, largamente utilizzato per escludere il TEV nella popolazione non gravida, non è attendibile in gravidanza in quanto i livelli sono spesso aumentati e ciò riduce la specificità del test. Per questi motivi, le decisioni cliniche combinate con il test del D-Dimero non sono raccomandate per escludere il TEV in gravidanza.
La diagnosi di TEV in gravidanza deve essere necessariamente strumentale e avvalersi di una diagnostica per immagini quale l’ecografia compressiva (CUS), la tomografia computerizzata (TC), la scintigrafia polmonare perfusoria (e talvolta anche ventilatoria), e l’angiografia. Tuttavia, tutti questi esami strumentali hanno dei limiti specifici in gravidanza. Ad esempio, per la diagnosi di TVP la CUS è meno affidabile nella popolazione gravida a causa della sua ridotta sensibilità nel diagnosticare la trombosi delle vene iliache e pelviche isolate, frequente in gravidanza. Per questo l’uso della CUS seriata nel caso di sospetto di TVP prossimale non è raccomandato. Benché la CUS possa suggerire trombosi della vena iliaca isolata individuando un’onda assente nella modulazione della respirazione, quest’informazione indiretta è influenzata da elementi anatomici e dipendenti dall’operatore, che rendono possibile il verificarsi di risultati falsi positivi e falsi negativi. Infine, nel sospetto di una trombosi della vena iliaca con CUS negativa, la venografia oppure l’angio-TC devono essere prese in considerazione per una accurata diagnosi di TVP prossimale.
La scelta della diagnostica per immagini per la diagnosi di EP dipende fortemente dalla disponibilità locale e dalla competenza. L’EP è una condizione che può mettere in pericolo la vita e qualsiasi procedura diagnostica va effettuata con urgenza nel caso di sospetta EP.
L’esecuzione di una TC torace come primo esame di diagnostica per immagini dà la possibilità di confermare il sospetto diagnostico di EP (se esame positivo) o di ricercare una diagnosi alternativa se l’EP fosse esclusa. Tuttavia, una scintigrafia polmonare perfusoria può essere diagnostica di EP se esprime una alta probabilità di malattia e risparmia dosi di radiazioni alla madre rispetto alla TC. Viceversa, una probabilità bassa esclude l’EP. Perciò la scintigrafia è raccomandata come primo test di diagnostica per immagini dalle recenti linee guida della American Thoracic Society (ATS). Purtroppo però spesso il risultato della scintigrafia dà una probabilità intermedia di EP e non consente di fare diagnosi. In queste pazienti eseguire una seconda diagnostica per immagini con una TC torace è d’obbligo, con conseguente possibile ritardo nel far diagnosi. Infine, la scintigrafia perfusoria non è ampiamente disponibile in un ambiente d’urgenza e la TC torace rimane la prima scelta. Va sottolineato che per la maggior parte dei test di diagnostica per immagini, la percentuale di esposizione fetale alle radiazioni è molto più bassa della dose di soglia di induzione nei tumori maligni (100mSv), giustificando il loro uso nella diagnostica dell’EP che può essere fatale.
Tutti i test di diagnostica per immagini si possono eseguire durante la gravidanza rispettando il principio di erogare ma minima dose radiante possibile. Anche se i mezzi di contrasto allo iodio usati con la TC e l’angiografia attraversano la placenta, non è mai stato riferito alcun effetto sulla funzione tiroidea fetale. Tuttavia, i neonati dovrebbero essere sottoposti a screening per ipotiroidismo.
E’ importante ricordare che nel caso di sospetta EP in gravidanza, è ragionevole eseguire una CUS come primo esame strumentale per valutare la presenza di una TVP sintomatica (nelle donne asintomatiche la CUS perde di accuratezza). In caso la CUS sia diagnostica di TVP non è più necessario eseguire una TC torace la diagnosi di EP può essere clinica (la terapia non cambia).
L’uso di farmaci anticoagulanti durante la gravidanza
La gravidanza è una condizione particolare perché ogni decisione terapeutica prevede un effetto ed un rischio non soltanto per la salute della madre ma anche del feto. L’equilibrio tra rischi e benefici della gestione della terapia anticoagulante durante la gravidanza è spesso difficile a causa della mancanza di studi di osservazione e di intervento in donne gravide, che sono state escluse da tutti gli studi clinici. Questo si rispecchia nel basso grado di raccomandazione nelle linee guida di alcune società scientifiche come l’American College of Chest Physicians (ACCP) o ATS.
Le principali complicanze della terapia anticoagulante durante la gravidanza possono coinvolgere la donna (sanguinamento, trombocitopenia indotta da eparina [HIT], osteoporosi associata ad eparina, ecchimosi, e reazioni allergiche locali dovute al preparato eparinico iniettato sottocute) oppure il feto (malformazioni congenite legate al dicumarolico, sanguinamento fetale).
Essendo il sanguinamento collegato per lo più al parto (soprattutto se avviene con taglio cesareo), è importante sospendere la terapia anticoagulante prima del parto e iniziarla di nuovo dopo 12-24 ore, anche se tale decisione deve bilanciare individualmente il rischio emorragico con quello di recidiva di TEV. Inoltre, l’anestesia neuroassiale è controindicata in partorienti terapia anticoagulante a causa di un modesto rischio di ematoma neurassiale e sospendere l’anticoagulazione è d’obbligo, 24 ore prima in caso di terapia con eparina a basso peso molecolare (EBPM) oppure 6 ore in caso di eparina non frazionata (UFH).
Il farmaco di scelta nelle donne gravide per la terapia del TEV è l’EBPM(Eparina a basso peso molecolare), non solo perché i AVK aumentano il rischio di sanguinamento per il feto ma soprattutto perché questi attraversano la placenta e possono causare embriopatia. L’incidenza di embriopatia legata all’uso di AVK nel primo trimestre di gravidanza è del 6.4% (95%CI, 4.6-8.9) secondo una ampia revisione sistematica di 549 pazienti da 24 studi. L’embriopatia è caratterizzata da ipoplasia nasale, epifisi punteggiata o ipoplasia degli arti. Il rischio di embriopatia viene minimizzato se il AVK è sostituito con EBPM tra la 6ta e la 12ma settimana di gestazione. Inoltre, l’uso di AVK nel secondo e nel terzo trimestre è associato ad un duplice rischio di disfunzioni neurologiche minori oppure ad un quoziente intellettivo inferiore ad 80.
L’EBPM invece non attraversa la placenta ed è sicura per il feto. Tuttavia, alcune questioni sulle dosi di EBPM da utilizzare in profilassi o in terapia nelle donne incinte rimangono controverse, come ad esempio la dose appropriata in base al peso che aumenta in gravidanza e l’aumento del volume di distribuzione e filtrazione glomerulare che modifica la clearance renale dell’EBPM. Per ottimizzare la terapia con EBPM in gravidanza si può monitorare l’effetto anticoagulante misurando l’attività anti-fattore X attivato (il fattore X è un substrato dell’EBPM). Tuttavia, nessun ampio studio ha stabilito un range ottimale del test, il target appropriato resta incerto e il test ha una parziale accuratezza e affidabilità. Le ultime linee guida dell’ACCP non raccomandano un monitoraggio dell’anti-X nelle donne incinte tranne in quelle con protesi valvolare. La complicanza di reazioni allergiche in sede di iniezione sottocutanea e talvolta sistemiche può verificarsi con l’uso dell’EBPM.
La HIT invece, sindrome protrombotica autoimmune transitoria, nelle donne incinte è estremamente rara probabilmente perché, come per altre malattie autoimmuni, vi è un effetto protettivo degli estrogeni sul sistema immunitario. Va considerato che la HIT è una condizione grave che mette a rischio la vita della donna e la sua gestione prevede sull’immediata sospensione dell’EBPM e la somministrazione di un anticoagulante alternativo. Questo può essere il fondaparinux, anche se il suo utilizzo resta off-label.
Ad oggi non vi sono studi sulla sicurezza e l’efficacia dei recenti anticoagulanti orali diretti (inibitori della trombina o del fattore X) in gravidanza e perciò il loro uso non è raccomandato né in gravidanza né durante l’allattamento.
La terapia del TEV in gravidanza
La terapia del TEV acuto in donne gravide prevede la doppia somministrazione giornaliera di EBPM a dosi corrispondenti al peso corporeo. La necessità di aumentare la dose in proporzione al variare del peso durante la gravidanza è controversa.>br/> A dosi terapeutiche, l’incidenza di sanguinamento maggiore varia dall’1.7% di una revisione sistematica di 174 donne da 15 studi, al 6% di una valutazione prospettica di 126 pazienti con TEV acuto.
Nel post-partum l’emorragia (definita come almeno 500mL di sangue perso), il rischio varia dal 2 al 18%. In un gruppo di donne incinte con dosi terapeutiche di EBPM nel Centro Medico Accademico di Amsterdam, l’incidenza di emorragia post-partum in donne che ricevevano dosi terapeutiche di EBPM era alta, ma non statisticamente diversa dal gruppo di donne partorienti nello stesso ospedale e non trattate con anticoagulanti (18 e 22%; RR, 0.8, 95% CI, 0.5- 1.4).
Il passaggio da EBPM a UFH può essere preso in considerazione a ridosso del parto, sia indotto che con taglio cesareo, per la pronta reversibilità dell’effetto anticoagulante di UFH. Idealmente, l’UFH andrebbe interrotta 4-6 ore prima dell’induzione elettiva o del taglio cesareo, per mantenere il più a lungo possibile un livello adeguato di anticoagulazione.
Nel caso in cui si verificasse un episodio di TEV acuto in prossimità della data del parto, si può considerare l’inserzione di un filtro cavale inferiore rimovibile dopo il parto. Tuttavia l’indicazione va valutata scrupolosamente in quanto l’esperienza è limitata ed il rischio di migrazione del filtro e di perforazione della vena cava inferiore può aumentare durante la gravidanza. Infine, per quanto riguarda la terapia trombolitica non è esperienza in donne gravide e va riservata a pazienti con TEV estremamente grave che mette in pericolo la vita.
Sfide cliniche attuali nella gestione del TEV in gravidanza
Il livello di evidenza nella diagnosi e la gestione del TEV in gravidanza è basso: tutti gli studi diagnostici o gestionali hanno incluso piccoli gruppi di donne, hanno spesso limiti metodologici e non consentono di trarre conclusioni solide.
La gestione del TEV nella popolazione adulta non gravida si avvale di algoritmi diagnostici e di nuovi farmaci anticoagulanti (diretti contro la trombina o il fattore X) che non necessitano di monitoraggio ma del cui utilizzo in donne gravide non vi è alcun dato.
Con uno sguardo alla ricerca clinica, c’è necessità di studi metodologici nelle donne incinte, specialmente riguardo alla stratificazione del rischio, al ruolo delle anomalie trombofiliche, alle dosi ottimali di EBPM per la prevenzione e la terapia del TEV, all’utilità del test anti-fattore X attivato per monitorare l’efficacia terapeutica dell’EBPM in relazione ai risultati clinici, alla ottimizzazione della terapia nel peri-parto.