Sulla base dei rilievi di studi controllati, che hanno incluso soggetti al primo episodio di tromboembolismo venoso (TEV) idiopatico o secondario a fattori di rischio minore, sappiamo che la somministrazione di 12 mesi di dosi ridotte di rivaroxaban o apixaban, una volta che il paziente ha completato i primi 6 mesi di terapia anticoagulante con vecchi o nuovi farmaci, è almeno altrettanto efficace delle dosi intere e possiede un potenziale emorragico pressoché indistinguibile da quello dell’aspirina a basse dosi o del placebo (1,2).
Questi studi hanno però lasciato una grande incertezza sulla opportunità di ridurre o meno il dosaggio degli anticoagulanti diretti (DOAC) in quei soggetti che per storia personale o familiare di TEV, malattie neoplastiche od altri fattori di rischio persistenti, come stati trombofilici maggiori, comorbidità, assunzione di farmaci protrombotici e quant’altro, sono esposti ad un rischio oggettivamente aumentato di recidiva tromboembolica. Di conseguenza, nella pratica clinica quotidiana una decisione così importante viene lasciata all’arbitrio dei curanti (3). Inoltre, mancano informazioni sul profilo terapeutico dei DOAC somministrati per un periodo superiore a 12-18 mesi (1,2,4), cosicché non è noto se il vantaggioso profilo mostrato nei primi mesi si mantiene più a lungo.
Due studi controllati, pubblicati in rapida successione, hanno messo a disposizione della classe medica preziose informazioni al riguardo.
Alto rischio di recidiva: studio RENOVE
Quasi 2800 soggetti reduci da un episodio singolo o recidivante di TEV, che avevano ricevuto almeno 6 mesi (e comunque non più di 24) di terapia con dosi terapeutiche di vecchi o nuovi farmaci anticoagulanti e per i quali era prevista una anticoagulazione a lungo termine per una o più delle indicazioni sopra riportate sono stati randomizzati a ricevere (in aperto, ma con valutazione indipendente degli endpoints) dosi piene o ridotte di rivaroxaban od apixaban per un periodo di 36 mesi (nel 75% dei soggetti) o 48 mesi (nei rimanenti), e ne è stata valutata l’incidenza di eventi tromboembolici ricorrenti così come di emorragie maggiori o clinicamente rilevanti (5).
L’obiettivo primario dichiarato era la dimostrazione di non-inferiorità della dose ridotta, in termini di recidive tromboemboliche (fatali o non fatali), nei confronti della dose intera; obiettivi secondari il rischio emorragico ed il beneficio clinico netto. Le caratteristiche principali dei pazienti randomizzati erano del tutto confrontabili in termini di parametri anagrafici, anamnestici e clinici. L’età media era di 62 anni; il 65% era di sesso maschile. Nell’85% dei casi il primo episodio era stato una embolia polmonare, isolata od associata a trombosi venosa profonda (TVP) degli arti. Scarsa la rappresentazione (10%) di pazienti neoplastici. Il follow-up mediano è stato di circa 37 mesi.
Risultati
Brevemente, i risultati principali. Recidiva sintomatica di TEV è stata documentata con frequenza similmente bassa in entrambi i gruppi di pazienti (2,2% nel gruppo a dose ridotta ed 1,8% nel gruppo a dose piena), con un HR aggiustato di 1,32 (95% CI 0,67–2,60), che però non ha soddisfatto i criteri prestabiliti per l’aggiudicazione della non inferiorità (limite superiore dell’intervallo di confidenza < 1,7). Emorragie maggiori o clinicamente rilevanti si sono verificate in misura significativamente inferiore nel gruppo a dose ridotta (9,9%) rispetto a quello assegnato alla dose piena (15,2%), con un HR aggiustato di 0,61 (95% CI 0,48–0,79). Il composito di recidive tromboemboliche ed eventi emorragici (essenziale per valutare il beneficio clinico netto) si è verificato nell’11,8% dei pazienti nel gruppo a dose ridotta e nel 16,5% nel gruppo a dose piena, con un HR aggiustato di 0,67 (95% CI 0,53–0,86).
La conclusione degli autori è che la riduzione della dose di anticoagulanti orali diretti non ha soddisfatto il criterio di non inferiorità per la prevenzione delle recidive di TEV; avendo però mostrato una significativa riduzione del rischio di sanguinamento clinicamente rilevante a fianco di una bassa incidenza di recidive, potrebbe essere un’opzione valida per alcuni pazienti.
Commento
La mia personale conclusione è invece più concreta. È vero che l’HR delle recidive tromboemboliche (1,32; 95% CI 0,67–2,60) non ha potuto escludere un aumento del rischio fino a 2,60. Ma è altrettanto vero che la frequenza di complicazioni tromboemboliche in questo numeroso sottogruppo di pazienti (2,2%) è in linea con quella attesa – sulla base di tutta la letteratura disponibile – nel follow-up di soggetti con le caratteristiche di quelli arruolati nel RENOVE adeguatamente trattati con vecchi o nuovi farmaci; e non differisce significativamente da quella (1,8%) registrata in questo stesso studio fra i soggetti assegnati alla dose alta ed alla fine gravati da un rischio emorragico nettamente superiore, cosicché il beneficio clinico netto della dose ridotta è risultato spettacolarmente superiore a quello della dose intera. È evidente che sul piano teorico gli autori dello studio non potevano che concludere nel modo in cui hanno concluso. Ma sul piano clinico mi sento del tutto rassicurato. Credo che sia stato raggiunto un grande risultato della ricerca clinica.
Neoplasia: lo studio API-CAT
A seguito della dimostrazione che i DOAC possono essere impiegati in alternativa alle eparine a basso pm per la terapia del TEV in pazienti neoplastici, rimaneva da dimostrare l’efficacia e la sicurezza di dosi ridotte dopo i primi mesi di terapia anticoagulante convenzionale. Dato infatti per scontato che, ad eccezione che per pazienti ad alto rischio emorragico, la terapia non può essere interrotta in soggetti in cui la neoplasia è ancora in fase di attività, era lecito domandarsi se la comune prassi di impiegare un DOAC a dosi ridotte per la protezione a lungo termine da recidive tromboemboliche in soggetti esenti da neoplasie potesse applicarsi anche a pazienti con cancro.
Un piccolo trial (EVE) di recente pubblicazione aveva segnalato una netta riduzione del rischio emorragico con l’impiego di basse dosi di apixaban per questa indicazione nei confronti di dosi elevate, ma l’insufficienza del campione arruolato non aveva consentito di confermarne l’equivalenza in termini di protezione antitrombotica (6). La recente pubblicazione dello studio API-CAT consente ora di arrivare a conclusioni ben più solide (7).
Risultati
Oltre 1750 pazienti con TVP prossimale od embolia polmonare imputabile a cancro attivo, arruolati in 121 centri in 11 paesi, una volta completati almeno sei mesi di terapia anticoagulante sono stati randomizzati con un disegno in doppio-cieco controllato a ricevere apixaban a dosi piene (5 mg due volte al giorno) o ridotte (2,5 mg due volte al giorno) per 12 mesi. L’endpoint primario dello studio era lo sviluppo di recidiva tromboembolica fatale o non fatale. Tra gli endpoints secondari figurava lo sviluppo di emorragie clinicamente rilevanti.
Le due popolazioni presentavano simili caratteristiche in termini anagrafici, anamnestici e clinici. In particolare, erano simili la tipologia e lo stadio delle neoplasie (metastatiche nel 60% dei casi in entrambi i gruppi) e la tipologia di TEV, in larga misura rappresentata da embolia polmonare (colta incidentalmente in 1/3 dei casi) con o senza associata TVP.
Dopo un follow-up mediano di 11.8 mesi recidive tromboemboliche, fatali o non fatali, si sono verificate in 18 pazienti (incidenza cumulativa, 2.1%) nel gruppo assegnato alle dosi ridotte, ed in 24 (incidenza cumulativa, 2.8%) in quello assegnato alle dosi intere (HR aggiustato, 0.76; 95% CI, 0.41 – 1.41); ed emorragie clinicamente rilevanti rispettivamente in 102 (incidenza cumulativa, 12.1%) ed in 136 (incidenza cumulativa, 15.6%) (HR aggiustato, 0.75; 95% CI, 0.58 – 0.97; P = 0.03).
I risultati dello studio API-CAT forniscono pertanto un solido supporto all’impiego di dosi ridotte di apixaban in alternativa a quelle piene in pazienti con TEV associato a cancro che abbiano completato almeno sei mesi di terapia anticoagulante convenzionale.
Conclusioni
La ricerca ha fatto segnare un progresso di rilevanti proporzioni, fornendo la risposta lungamente attesa da clinici e ricercatori. Oggi sappiamo che in pazienti ad alto rischio di recidiva tromboembolica, con l’inclusione di quelli affetti da neoplasie attive, una volta completato un ciclo iniziale di terapia con vecchi o nuovi farmaci anticoagulanti il proseguimento della stessa può essere effettuato con basse dosi di DOAC, preservando il grado di protezione antitrombotica ed al contempo riducendo considerevolmente il rischio emorragico. In pazienti esenti da neoplasie, la terapia con dosi ridotte fino ad oltre 4 anni dall’episodio tromboembolico preserva le caratteristiche sin qui dimostrate fino ad un massimo di 18 mesi. Per finire, anche per i DOAC vale quello che ben sappiamo per tutti gli anticoagulanti: il rischio di emorragia decresce al decrescere della dose. I dubbi che ancora rimanevano, per effetto delle conclusioni di alcuni studi retrospettivi condotti nel mondo della fibrillazione atriale, sono definitivamente dissipati.
Bibliografia
- Weitz JI, Lensing AWA, Prins MH, et al. Rivaroxaban or aspirin for extended treatment of venous thromboembolism. N Engl J Med 2017;376:1211-22.
- Agnelli G, Buller HR, Cohen A, et al. Apixaban for extended treatment of venous thromboembolism. N Engl J Med 2013;368:699-708.
- Weitz JI, Prandoni P, Verhamme P. Anticoagulation for patients with venous thromboembolism: when is extended treatment required? TH Open 2020;4:e446-56.
- Palareti G, Poli D, Ageno W, et al. D-dimer and reduced-dose apixaban for extended treatment after unprovoked venous thromboembolism: the Apidulcis study. Blood Adv 2022;6:6005-15.
- Couturaud F, Schmidt J, Sanchez O, et al. Extended treatment of venous thromboembolism with reduced-dose versus full-dose direct oral anticoagulants in patients at high risk of recurrence: a non-inferiority, multicentre, randomised, open-label, blinded endpoint trial. Lancet 2025;405:725-35.
- McBane RD 2nd, Loprinzi CL, Zemla T, et al. Extending venous thromboembolism secondary prevention with apixaban in cancer patients. The EVE trial. J Thromb Haemost 2024;22:1704-14.
- Mahé I, Carrier M, Mayeur D, et al. Extended reduced-dose apixaban for cancer-associated venous thromboembolism. N Engl J Med 2025 [Epub ahead of print].
Articolo interessantissimo, Grazie infinite, anche per conclusione personale. Grazie veramente.