La sindrome da anticorpi antifosfolipidi (APS) è una patologia autoimmune ad elevato rischio di complicanze vascolari che insorgono spesso in pazienti giovani. Le trombosi possono essere sia venose (trombosi venosa profonda ed embolia polmonare) che arteriose, soprattutto cerebrali quali attacco ischemico transitorio (TIA) e ictus ischemico, ma anche cardiache e periferiche.
Il trattamento di elezione dei pazienti con APS e trombosi è la terapia anticoagulante orale e gli studi retrospettivi eseguiti fino agli inizi degli anni 2000 avevano riportato che la TAO doveva essere mantenuta ad una intensità elevata, con un PT INR >3.0, per essere efficace nella prevenzione delle ricorrenze1. Tuttavia, tali studi erano retrospettivi, non controllati e il valore di INR realmente mantenuto e non solo raccomandato durante lo studio non era noto.
Si rendevano pertanto necessari studi prospettici e randomizzati per confermare o confutare tale raccomandazione, che esponeva i pazienti ad un elevato rischio di complicanze emorragiche. Tra il 2000 e il 2005, due trial clinici sono stati organizzati e completati, uno canadese e uno europeo, ma principalmente italiano (studio WAPS), molto simili nel disegno di studio e nelle conclusioni raggiunte2,3.
La pianificazione dello studio WAPS è stata complicata dal fatto che alcuni esperti ritenevano non etico esporre un gruppo di pazienti con APS ad un alto rischio di recidiva trombotica se trattati con una TAO ad intensità più bassa di quella fino a quel momento raccomandata. Lo studio ha potuto essere eseguito grazie alla concomitanza di diversi fattori:
- l’attività di Tiziano Barbui, in quel periodo alla presidenza del Sottocomitato per il lupus anticoagulant dell’ISTH, nel promuovere e avviare il trial;
- la dimostrazione, ottenuta e pubblicata da Armando Tripodi, che l’INR era idoneo a misurare l’intensità della TAO nei pazienti con APS e quindi poteva essere usato nel corso dello studio4;
- la presenza di una rete di Centri italiani di eccellenza in questo settore che sono stati i principali Autori dello studio3. Senza queste persone, lo studio WAPS non avrebbe potuto essere realizzato e a loro va il mio ringraziamento, anche dopo 10 anni.
Lo studio ha randomizzato 109 pazienti con APS e precedente trombosi trattati con TAO ad intensità alta (INR range 3.0–4.5) o standard (INR range 2.0–3.0) per stabilire se l’anticoagulazione intensiva fosse superiore a quella standard nella prevenzione delle trombosi sintomatiche senza aumentare il rischio di sanguinamento.
I 109 pazienti arruolati nel trial sono stati seguiti per una mediana di 3.6 anni. Il valore medio di INR durante il follow-up è stato 3.2 nel gruppo ad alta intensità e 2.5 in quello ad intensità standard della TAO (P < 0.0001). La recidiva di trombosi è stata osservata in 6 dei 54 pazienti (11,1%) assegnati alla terapia ad alta intensità e in 3 dei 55 pazienti (5,5%) assegnati al trattamento standard (HR 1.97%, 95% CI 0.49-7.89). Emorragie maggiori e minori si sono verificate in 15 pazienti (2 maggiori) (27,8%) nel gruppo ad alta intensità e 8 (3 maggiori) (14,6%) nel gruppo a intensità standard (HR 2.18; 95%CI 0.92–5.15).
La conclusione è stata che la TAO ad alta intensità non è superiore al trattamento standard nella prevenzione delle trombosi ricorrenti nei pazienti con APS e trombosi e si associa ad una aumentata frequenza di emorragie minori.
I risultati dello studio, insieme a quelli dello studio gemello canadese, hanno cambiato lo standard di trattamento dei pazienti con APS. Le attuali raccomandazioni dell’American College of Chest Physicians (ACCP) indicano, infatti, di mantenere un PT INR compreso fra 2.0 e 3.0 per la prevenzione secondaria delle trombosi sia arteriose che venose5, anche se alcuni investigatori continuano a consigliare un range terapeutico più elevato (INR >3.0) per le trombosi arteriose6. É giusto osservare, in questo contesto, che la forza delle raccomandazioni per l’intensità della TAO nei pazienti con APS è considerata debole-moderata (grado 2B) dagli esperti dell’ACCP. Questa cautela è dovuta principalmente al fatto che, essendo l’APS una malattia rara, il numero di pazienti inclusi nei due studi clinici citati2,3, è relativamente limitato (circa 100 ognuno), ben lontano dalle molte centinaia di pazienti arruolati nei grandi trial clinici, come nel tromboembolismo venoso, che consentono gradi di evidenza e forza delle raccomandazioni più elevate. Questa cautela si traduce nel suggerimento di considerare attentamente le caratteristiche di ogni paziente con APS e trombosi per stabilire se aspetti clinici particolari, quali ricorrenza di trombosi nonostante un INR adeguato, sedi particolari di trombosi, instabilità terapeutica, consiglino diverse scelte terapeutiche.
In conclusione, quali sono gli aspetti ancora attuali dello studio WAPS? È possibile individuarne almeno tre:
- Il perdurante beneficio per i pazienti con APS di essere trattati con una TAO di intensità moderata invece che elevata, con uguale (e probabilmente migliore) protezione antitrombotica ma, soprattutto, con una importante riduzione del rischio emorragico. É stato stimato, infatti, che la frequenza di emorragie gravi in pazienti trattati con la TAO con target INR 2.0-30 è meno della metà di quella attesa nei trattati con target >3.0 e che il rischio di emorragie cerebrali si dimezza per ogni riduzione di circa 1 dell’INR7;
- la definizione dell’attuale standard di trattamento che rappresenta il gruppo di controllo dei trials con i nuovi anticoagulanti orali, ora in corso di attuazione8;
- da un punto di vista più generale, la conferma della superiorità metodologica dei trial clinici randomizzati sugli studi osservazionali retrospettivi, anche ben fatti e ben pubblicati, e l’impulso ai clinici di non accontentarsi di evidenze parziali ma di ricercare prove più solide per definire il migliore trattamento possibile per i nostri paxzienti.
Bibliografia:
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- Crowther MA et al. A comparison of two intensities of warfarin for the prevention of recurrent thrombosis in patients with the antiphospholipid antibody syndrome. N Engl J Med 2003; 349:1133–8.
- Finazzi G, Marchioli R, Brancaccio V, Schinco P, Wisloff F, Musial J, Baudo F, Berrettini M, Testa S, D'Angelo A, Tognoni G, Barbui T. A randomized clinical trial of high-intensity warfarin vs. conventional antithrombotic therapy for the prevention of ecurrent thrombosis in patients with the antiphospholipid syndrome (WAPS). J Thromb Haemost 2005;3:848–53.
- Tripodi A et al. Laboratory control of oral anticoagulant treatment by the INR system in patients with the antiphospholipid syndrome and lupus anticoagulant. Results of a collaborative study involving nine commercial thromboplastins. Br J Haematol. 2001;115:672-8.
- Holbrook A et al. Evidence-based management of anticoagulant therapy: Antithrombotic Therapy and Prevention of Thrombosis, 9th ed: American College of Chest Physicians Evidence-Based Clinical Practice Guidelines. Chest 2012;141(2 Suppl):e152S-84S.
- Merashli M et al. Antiphospholipid syndrome: an update. Eur J Clin Invest. 2015;45:653-62
- Schulman S et al. Hemorrhagic complications of anticoagulant and thrombolytic treatment: American College of Chest Physicians Evidence-Based Clinical Practice Guidelines (8th Edition). Chest. 2008;133(6 Suppl):257S-298S.
- Cohen H et al. Rivaroxaban in antiphospholipid syndrome (RAPS) protocol: a prospective, randomized controlled phase II/III clinical trial of rivaroxaban versus warfarin in patients with thrombotic antiphospholipid syndrome, with or without SLE. Lupus. 2015:24:1087-94.

Guido Finazzi
UOC Ematologia, Ospedale Papa Giovanni XXIII, Bergamo
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Lo studio WAPS: 10 anni dopo
Lo studio multicentrico, prevalentemente italiano, WAPS (Warfarina nella Sindrome da Anticorpi Antifosfolipi), pubblicato nel 2005, è stato molto importante per i pazienti con questa malattia.
La sindrome da anticorpi antifosfolipidi è una patologia autoimmune ad elevato rischio di complicanze vascolari che insorgono spesso in pazienti giovani. Le trombosi possono essere sia venose (trombosi venosa profonda ed embolia polmonare) che arteriose, soprattutto cerebrali quali attacco ischemico transitorio (TIA) e ictus ischemico, ma anche cardiache e periferiche. Lo studio ha dimostrato, insieme ad uno studio gemello canadese pubblicato poco prima, che i pazienti affetti dalla sindrome possono essere trattati con una terapia anticoagulante orale (TAO) ad intensità più bassa rispetto a quello che era stato sino ad allora raccomandato. Questo cambiamento di intensità della terapia mantiene la stessa protezione antitrombotica ma riduce le complicanze emorragiche. È stato stimato, infatti, che la frequenza di emorragie gravi in pazienti trattati con la TAO a intensità moderata (INR 2.0-30) è meno della metà di quella attesa nei trattati con alta intensità (>3.0) e che il rischio di emorragie cerebrali si dimezza per ogni riduzione di circa 1 dell’INR. Lo studio WAPS, pertanto, ha contributo a definire lo standard di terapia attuale per questa malattia. Studi futuri stabiliranno se i nuovi anticoagulanti orali diretti che non richiedono il monitoraggio della terapia saranno in grado di migliorare l’efficacia e la sicurezza del trattamento antitrombotico per questi pazienti.
Photo Credits | Flickr Matteo Paciotti