La trombosi dei seni cerebrali può interessare uno o più dei seni venosi cerebrali e si manifesta solitamente con intensa cefalea. Sono principalmente interessati il seno sagittale superiore (62% dei casi) e i seni laterali (50% dei casi).
Per molto tempo è stata considerata una patologia rara, in quanto gli strumenti diagnostici non erano sufficientemente sofisticati. Oggi l’introduzione di tecniche di imaging non invasive come la RMN e la angio RMN hanno consentito di identificare molti casi, anche con manifestazioni cliniche più sfumate. Rappresenta lo 0.5-1% di tutti gli stroke (ictus) ed è più frequente nelle donne, che sono circa il 70% dei casi L’incidenza nella popolazione adulta è di circa 1 caso x100.000 abitanti tra i maschi e 2 casi x100.000 tra le donne, in particolare le donne in età fertile hanno un rischio più elevato, legato a fattori ormonali. Infatti l’uso di estro-progestinici e la gravidanza sono fattori di rischio per lo sviluppo di questa trombosi. La presenza di trombofilia ereditaria rappresenta un fattore di rischio aggiuntivo. Inoltre fattori di rischio per tale patologia sono anche le infezioni, le neoplasie e tra queste in particolare le sindromi mieloproliferative. Oltre il 40% dei pazienti presenta più di un fattore di rischio. Nelle forme associate alla gravidanza, gli eventi si presentano solitamente nel 3° trimestre e il 70% degli avviene nel puerperio. Il rischio di recidiva nelle gravidanze successive è basso sia nelle pazienti che hanno avuto l’evento correlato alla gravidanza sia per quelle che avevano altri fattori di rischio o nessun fattore di rischio.
La manifestazione clinica della malattia è solitamente una cefalea intensa che non risponde ai comuni antidolorifici. Tuttavia possono comparire anche sintomi neurologici focali, soprattutto quando la trombosi si accompagna ad una evoluzione emorragica che è frequente in modo particolare in questo tipo di stroke. Infatti circa il 40% dei pazienti presenta una componente emorragica precocemente rilevabile. La mortalità nella fase acuta è bassa (2-3%) e gli esiti neurologici sono rari; la maggior parte dei pazienti va incontro ad un recupero funzionale completo. Quando invece si verifica un danno parenchimale, sia su base ischemica che soprattutto emorragica, la mortalità nella fase acuta è più elevata e possono esserci sequele neurologiche o lo sviluppo di un’epilessia secondaria. Il rischio di recidiva è basso, stimato in 2-3% ed è indipendente dalla severità del primo episodio.
Il trattamento della fase acuta prevede l’uso di eparina a dosi anticoagulanti, con eparina non frazionata endovena in infusione continua o con eparine frazionate a dosaggio anticoagulante, seguito dal trattamento con anticoagulanti antagonisti della vitamina K. Il trattamento anticoagulante deve essere protratto per 6-12 mesi mantenendo INR compreso tra 2.0 e 3.0. In seguito alla sospensione della terapia anticoagulante non ci sono indicazioni a proseguire la profilassi antitrombotica con antiaggreganti piastrinici se non coesistono altre indicazioni. Al momento non sono state condotte sperimentazioni cliniche con i nuovi anticoagulanti orali che pertanto ad oggi non possono essere impiegati in questi pazienti.

Daniela Poli
Centro Trombosi - SOD Malattie Aterotrombotiche - AOU Careggi Firenze
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